Non sarà mai più come prima



All'inizio abbiamo pensato ai vari allarmi che negli anni si sono susseguiti: Sars, Mers, Ebola. Non ci abbiamo dato troppo peso. Perché preoccuparsi di qualcosa di così lontano? Tuttavia, queste emergenze, negli anni, sono state vere e hanno avuto conseguenze su quei paesi in cui sono capitate, lasciando segni anche molto profondi. 
Ma si sa, non possiamo farci carico di tutti i mali del mondo. Però stavolta la cosa pian piano ha assunto contorni diversi. Questo virus è subito sembrato molto contagioso, più che letale. Un problema per le strutture sanitarie dei paesi del mondo, non pronte a ricevere un carico eccessivo di malati. 
A fine gennaio eravamo ancora abbastanza tranquilli: si c'erano dei casi, ma tutte persone provenienti da zone considerate a rischio. 
Ma a metà febbraio è esplosa la bomba.

Certo, anche in quel caso molti hanno continuato a pensare (a sperare) fino alla fine che la cosa riguardasse qualcun altro. 
Qualche altra regione, qualche altro comune, qualche altra città. 
Perché è difficile ammettere che è necessario fermarsi. Lo è per la singola persona, come può non esserlo per un'intera comunità? Come si può pensare di fermare tutto? Non lo facciamo mai nella vita di tutti i giorni! Andiamo a lavoro se siamo malati, portiamo i bambini a scuola anche se sono raffreddati. La lezione di danza non si può perdere, se no che la paghiamo a fare? 
Dall'oggi al domani siamo stati catapultati in una dimensione che ci era totalmente sconosciuta: quella del presente. Noi, abituati a fare piani per le ferie e i week end, abbiamo iniziato a dover convivere con un'eterno ritorno di giornate quasi uguali le une alle altre.
Inizialmente forse non ci è neanche dispiaciuto troppo. Un po' di relax, la casa più pulita, i pasti cucinati con calma. Ma adesso la situazione si sta prolungando e non ci sono troppe speranze che possa risolversi in tempi brevi. 
Si parla di scuole chiuse fino a settembre, ristoranti e esercizi commerciali chiusi minimo fino a maggio.
Finita la vacanza, inizia a farsi strada la dura realtà.
Questa situazione si protrarrà a lungo. Non sappiamo quanto, ma non si tratterà di pochi mesi. Qualcuno parla di imparare a convivere col virus. 
Di misure di sicurezza che diventeranno abituali.
Come potremo abituarci a questa nuova realtà?
Questo tempo lungo e vuoto mi ha dato molto modo di riflettere. Oddio... Lo definisco vuoto, ma non lo è stato affatto con due figli da seguire con la didattica a distanza (nuova esilarante avventura in cui mezza italia si è immersa), pasti da cucinare, un po' di lavoro da ultimare e le faccende rimaste indietro da sbrigare. No, non è stato affatto vuoto. È stato invece molto pieno. Pieno anche di ansie, di paure da gestire, di incognite da svelare. 
Pieno di interrogativi.
Pensavamo davvero di poter continuare così? A volte me lo chiedevo, mentre al mattino mi recavo a lavoro, nel traffico congestionato della settimana. Ci pensavo che qualcosa sarebbe davvero successo, per porre fine a questa corsa insensata. Tante volte mi sono fermata a chiedermi: Ma davvero la vita deve essere questa e non esiste altra soluzione? Nessuna alternativa è possibile? Certo, non pensavo che sarebbe arrivato un virus a metterci in ginocchio, ma sapevo che c'era qualcosa di sbagliato nel nostro modo di vivere e che in qualche modo la Terra avrebbe fatto in modo di farcelo capire. Era sbagliato che ci fossero centinaia di persone in giro, una per automobile, perchè i nostri governi non riescono a programmare una rete di trasporti urbani che aiuterebbe a impattare meno sull'ambiente; era sbagliato che le persone comprassero più di quanto possono consumare, mentre altri non hanno neanche il necessario per vivere; era sbagliato e offensivo che nei paesi occidentali si morisse per malattie causate dal troppo benessere mentre in altri paesi si morisse giovani e di stenti.
Due pensieri mi sono rimasti impressi in queste settimane, che sostanzialmente dicono la stessa cosa, sebbene provengano da due persone appartenenti a eoni di distanza.
Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.
(Papa Francesco)

Stesso concetto e quasi stesse parole che ho sentito tante volte ripetere a una delle persone che più amo ascoltare attraverso i suoi canali social, attraverso la radio e i suoi libri: Paola Maugeri. Lei, attivista ecologista, vegana ante litteram, persona di gran cuore e di enorme cultura e umanità, spesso durante le sue dirette social ripete che viviamo in un mondo ammalato che abbiamo contribuito noi a fare ammalare con le nostre stesse azioni. 
Ma cosa possiamo fare concretamente per cambiare le nostre vite?
Quando sento le persone che ripetono di voler tornare quanto prima alla loro esistenza precedente, lo ammetto, mi fa molto male. Abbiamo una gran fretta di dimenticare, di tornare a pensare che non è un nostro problema. Siamo rimasti sgomenti quando abbiamo visto che poteva capitare anche da noi, e non solo negli altri paesi. Non siamo stati neanche abbastanza riconoscenti per il fato che siamo italiani e dunque abbiamo accesso a cure tra le migliori al mondo.
 È logico che tutti noi vorremmo continuare a vivere come abbiamo sempre fatto, con tavole imbandite, viaggi low cost, vestiti a portata di mano, divertimenti .
Ma il fatto è che tutto il mondo vorrebbe vivere come abbiamo vissuto noi fino ad adesso. C'è un problema: non ci sono risorse necessarie per far vivere così otto miliardi di persone.
Spesso, quando gli animali sono tanti in uno stesso luogo arriva una malattia a decimarli. Anche noi siamo animali, dotati di ragione, ma sempre animali. Sta a noi trovare una cura alla malattia. Non solo a quella di questi giorni, ma a quella che rischia di affliggerci nei prossimi anni.
(Credit photo: Pixabay)

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