Il fenomenale P.T. Heliodore



Affermava il premio Nobel Isaac Basevish Singer che ci sono 10 buone ragioni per scrivere per i bambini. Tra queste ricordiamo la prima, ( I bambini leggono i libri, non le recensioni), l’ottava (i bambini amano le storie interessanti, non i commenti, i manuali o le note a pie’ di pagina) e la decima (Non si aspettano che il loro scrittore favorito redima l’umanità. Giovani come sono, sanno che non è in suo potere. Solo gli adulti hanno simili illusioni puerili). Guido Sgardoli deve conoscere perfettamente queste regole e tutte le volte, in ogni sua nuova opera, le tiene bene in mente. Così succede anche in uno dei suoi ultimi libri Il fenomenale P.T. Heliodore, ambientato in una cittadina del Connecticut negli Stati Uniti di metà Ottocento e dove, ispirandosi alla biografia autentica di Phineas Taylor Barnum, l’inventore del circo, Sgardoli narra le avventure del tredicenne, P.T, dotato di un’immaginazione prodigiosa che gli dà la possibilità di comunicare con gli animali e non solo. Rimasto orfano di padre, P.T. viene in possesso di ciò di cui sente parlare da anni, ma non ha mai potuto vedere di persona: un pezzetto di terra chiamata Nickel Island al di là della palude. Sarà il taciturno zio Cyrus a portarlo a vedere che cosa è in realtà Nickel Island e soprattutto da chi è abitata, per rimettere il nipote con i piedi per terra.

Ma P.T. Heliodore non è assolutamente un ragazzo che riesce a fermarsi alle apparenze, al contrario lui vede oltre. Così accade infatti quando scopre che la sua terra è occupata da una piccola congregazione di bizzarri esseri umani e lo stesso capita quando in città arriva una strana ragazzina, Alice, la nipote dei ricchi e tronfi signori Pettygoofer. P.T. non sembra notare affatto che Alice non parla: lui riesce a  sentirla perché P.T. sa  ascoltare anche ciò che non viene detto. O forse perché ha una grande capacità: quella di vedere al di là delle apparenze.

C’è tutto quello che serve in un buon romanzo per ragazzi nel libro di Sgardoli: l’eroe, la sua nemesi, il viaggio che occorrerà all’eroe per aprirsi al nuovo, che gli farà comprendere non solo che “Tutto sembra il massimo quando non conosci altro” ma anche cosa desidera fare nella vita. 

C’è una fanciulla da salvare e uno scopo da raggiungere. Ma c’è anche qualcosa di più. C’è la capacità di vedere il diverso, di accettarlo, di saperlo valorizzare perché in fondo “Chi è che stabilisce che cosa è normale?”. C’è una madre, quella di P.T. che solo nel momento in cui esce dal sentiero tracciato della così detta normalità, riesce ad esprimere davvero i propri sentimenti, a parlare e a dire al figlio che gli vuole bene. Sgardoli è così: è pura narrazione. Ha imparato la lezione dai maestri più grandi e l’ha fatta sua. In Sgardoli prima viene la storia, ricca, costruita alla perfezione e che soddisfa il lettore. Da questa storia sgorga naturalmente il significato che fa andare oltre. Spesso questo scrittore prende spunto da fatti storici per dare vita alle sue creazioni. Ma poi i suoi eroi prendono vita e rimangono impressi con la loro individualità. Guido Sgardoli non vuole redimere il mondo, vuole semplicemente regalare una buona storia e con questa dare corpo ai sogni. Proprio come fa dire a uno dei personaggi amici di P.T., Theodore Emmett Brown (forse il nome vi ricorda qualcuno? ) che, a difesa degli spettacoli di teatro, ritenuti una scemenza dal sempliciotto Lonesome, afferma “La gente ha bisogno di scemenze. La vita è già abbastanza dura e crudele. Il teatro deve fare esattamente questo, dare vita ai sogni, alla speranza della gente che non ne ha o non ne ha abbastanza. Deve distrarci dai tomenti che ci affliggono tutti i giorni, fare in modo che, seppure per poche ore, ce ne scordiamo e torniamo a fare pace con il mondo.” 

La stessa cosa vale anche per le storie, no?


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