Il diritto di non leggere

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Nel suo libro Come un romanzo (1993), Daniel Pennac enumerava i diritti del lettore. Tra essi, spiccava il primo:

1) Il diritto di non leggere.

Il libro dello scrittore francese è stato, e per certi aspetti è ancora, un best seller, un classico nella saggistica del genere. Per anni, schiere di insegnanti, educatori, bibliotecari si sono appellati al sacrosanto diritto sancito  da Pennac. 


Il verbo leggere non sopporta l'imperativo, si legge altrove sempre nel testo di Pennac. Certo. Come si può dire a un figlio "leggi!" se noi per primi non lo facciamo? Come possiamo imporre la lettura se le nostre case sono povere di libri, riviste, fumetti? Inoltre alla lettura sarebbe necessario avvicinarsi per passione, non certo per obbligo. Altrimenti la lettura, che di per sé dovrebbe essere un piacere, diventa un dovere. 
Molti sono gli adulti e i ragazzi che non conoscono questo libro di Pennac e, francamente, alla luce della notizia di oggi sui risultati dei test Invalsi dei ragazzi delle superiori mi viene da pensare Meno male
Meno male, perché credo che la maggior parte degli adolescenti medi italiani si appellerebbe a questo diritto se lo conoscesse, leggendo ancora meno di quello che normalmente fa. 
Con risultati ancora più catastrofici di quelli ottenuti ad oggi.
"Prove invalsi 2019: studenti ignoranti", recitano i titoli di giornali. E gli studenti non sono ignoranti solo in italiano, ma anche in matematica e in inglese. Con un divario maggiore tra Nord e sud Italia. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.
Certo che no. 
Ma i dati sono sconfortanti. 
E lo sono ancora di più alla luce di tutto l'investimento che viene fatto a livello di Festival letterari e rassegne per adulti, bambini e ragazzi. Tutti gli incontri con gli autori, il lavoro di sensibilizzazione alla lettura, Nati per leggere, le gite in biblioteca, la biblioteca di classe, a cosa servono esattamente? 
Siamo sicuri di stare portando avanti un lavoro davvero efficace?
A che punto della catena esattamente il meccanismo si inceppa e i bambini/ragazzi smettono di leggere?
Forse quando iniziano ad esserne capaci da soli e i genitori li ritengono abbastanza grandi per decidere se vogliono farlo o meno?
Forse quando gli insegnanti fanno scegliere un testo a piacere, così tanto per far leggere qualcosa agli alunni e poi non hanno il tempo di parlarne a scuola?
Chiaramente non si può fare di tutta l'erba un fascio: ci sono insegnanti che investono molto nella lettura e cercano in ogni modo di fare bene il loro lavoro.
Però non molto tempo fa ho sentito dire ad un'insegnante della scuola primaria "La lettura è così: piace o non piace". 
Credo sia inconcepibile, nell'anno del Signore 2019 che una maestra di italiano della scuola elementare, possa pensare una cosa del genere. 
Credo che sia indispensabile coinvolgere le famiglie il più possibile, tentando di far loro capire quanto sarà importante nel futuro sviluppo delle competenze sociali, intellettuali, lavorative dei figli leggere e comprendere ciò che si legge. 
Inutile portare il proprio figlio alla lettura del sabato in biblioteca se poi ci serve come servizio di baby sitting personale. Non mi fraintendete, sono iniziative lodevoli e valide, ma mi pare evidente che non siano sufficienti. 
Non voglio essere fraintesa: non intendo incolpare insegnanti, educatori o altri esponenti della categoria. Penso, però, che questi risultati debbano far riflettere e che forse sarebbe opportuno che ai vertici si facessero delle domande su quanto la pedagogia della lettura sia lasciata alla buona volontà di quegli insegnanti che credono ancora in essa.
Nella prefazione alla sua opera Linguaggio e silenzio, il critico George Steiner afferma:
Noi veniamo dopo. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe e Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz.

E, ancora, nel primo capitolo intitolato Humanae Litterae:
Chi ha letto la Metamorfosi di Kafka e riesce a guardarsi nello specchio senza indietreggiare è forse capace, tecnicamente parlando, di leggere i caratteri stampati, ma è analfabeta nell'unico senso che conti realmente.
Leggere bene significa correre grossi rischi, dice Steiner. Si rischia di imparare a pensare, di essere una voce fuori dal coro, di sentirsi cambiare nel profondo. Questo tipo di lettura solo pochi fortunati possono sperimentarla per naturale vocazione. 
A tutti gli altri è necessario insegnarla.

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