La famiglia Karnowski

https://www.adelphi.it/libro/9788845927713


Se uscissi per strada e chiedessi alla prima persona che incontro se sa chi siano Ernest Heminghway o Charles Dickens, quasi certamente mi dirà di sì, anche se non ha mai letto neanche una riga de Il vecchio e il mare o di David Copperfield. Ma se chiedessi allo stesso passante se conosce Israel Joshua Singer probabilmente si stringerebbe nelle spalle, e meno che mai direbbe di conoscere La famiglia Karnowski, il romanzo più famoso di questo scrittore, fratello del più celebre Singer, Isaac Bashevis, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1978. Questo giusto per dare un’idea di quanto la faccenda della fama e della notorietà segua vie imperscrutabili. Evidentemente si può scrivere un romanzo del genere ed essere pressoché sconosciuti al grande pubblico. 


La famiglia Karnowski invece è una delle opere narrative più rilevanti del ‘900, sicuramente una delle più importanti saghe familiari del mondo ebraico. 
In Italia è stato tradotto solo nel 2013 per Adelphi, quindi relativamente poco tempo fa, ma non è mai diventato un caso letterario come avrebbe potuto e, forse, dovuto. Tutto questo è perfettamente in linea con l’intera produzione del Singer maggiore, adombrata dal più noto fratello.

L’intreccio del romanzo segue tre generazioni di uomini Karnowski e il loro destino in qualche modo è già segnato a partire dall’incipit:

I Karnowski della Grande Polonia erano noti per il loro carattere testardo e provocatore, ma allo stesso tempo stimati per la vasta erudizione e l’intelligenza penetrante.

Con pochi aggettivi l’autore tratteggia le sorti di un’intera famiglia. Infatti, sia David, il capostipite che Georg, suo figlio, sono proprio come vengono definiti fin dall’inizio: testardi, provocatori e, aggiungerei, molto orgogliosi. David infatti, a causa di una disputa con il rabbino della città polacca in cui vive da giovane, si ritroverà insieme alla moglie che non è affatto d’accordo con lui, a lasciare la Polonia per la più illuminata Germania, patria del suo padre spirituale, Moses Mendelssohn. Qui David inizierà la sua vita famigliare con Lea, donna semplice e materna che adora il marito e per questo lo segue pur soffrendo tremendamente la nostalgia di casa. Con il loro primo figlio, Gregor, i Karnowki seguono il precetto di essere “ebreo in casa e tedesco nel mondo”, ma la religione e l’erudizione non avranno su Gregor il peso che hanno per il padre. Ancora meno ne avranno per il figlio di Gregor, Jegor.
Nella parabola della famiglia, che attraversa la Prima Guerra Mondiale e sia avvia verso l’incontro con il partito nazionalsocialista di Hitler, è Gregor a toccare il vertice più alto di successo e ricchezza. Il figlio Jegor, invece, nato da padre ebreo e madre ariana, subirà l’umiliazione delle leggi razziali e vivrà le sue origini con disagio e vergogna.

Lo stile è accurato, fatto di descrizioni vivide, dove si usa esattamente la quantità di parole necessaria, la prosa è scorrevole e ci regala brani di estrema bellezza:

Gelide, bellissime, eterne, terribilmente estranee, le stelle brillavano, miliardi di vasti mondi che trasmettevano la loro luce. Forse la luce che ora cade sulle mie mani, pensava, si è irradiata da un angolo dell’universo migliaia di anni fa fino ad arrivare qui per illuminare una panchina solitaria in un parco deserto. [...] Risplendeva così anche al fronte, diffondendo i suoi raggi sui morti, sugli agonizzanti. E allo stesso modo illuminerà anche lui quando renderà l’anima, e milioni di altri dopo di lui, con la calcolata esattezza e la precisione di un meccanismo, cui è stata data la carica. Com’è assurdamente piccola, insignificante e breve la vita dell’uomo a paragone di questa immensità, di questo infinito.”

I tempi verbali alternano il presente al passato remoto, cui si passa senza soluzione di continuità e si fa un ampio uso del discorso indiretto libero. L’introspezione psicologica dei personaggi è esatta e scrupolosa: tutto viene riportato e descritto, contravvenendo alle regole delle odierne scuole di scrittura secondo cui sarebbe opportuno mostrare ma non dire.

Il risultato è grandioso.

Si può riscontrare un unico difetto narrativo, se di difetto si vuole parlare: l’oblio in cui cadono alcuni personaggi importanti, di cui non si conoscono le sorti. Per una persona come me che fa fatica a sopportare l’assenza di un epilogo, questo potrebbe costituire una mancanza. Ma nel complesso La famiglia Karnowski é un libro bello, uno di quei libri di cui si sente la mancanza, una volta terminato.

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